Generare profitto “salvando il mondo”. Il futuro è questo. Anzi, è il presente. Perché oggi non ci sono alternative a un business che pensi anche all'ambiente, alla crescita sostenibile e la produzione responsabile, alla dignità del lavoro e la lotta contro le disuguaglianze.
Non è una questione di ideologia, ma di numeri. Non si tratta solo di un dovere morale, ma di un vantaggio competitivo. «L'imprenditore furbo è bravo negli sprint, ma a vincere le maratone sono gli imprenditori etici».
Lo scrivono Marco Poggianella (fondatore di Save Our Planet) e Alessio Brusemini (che si occupa da vent'anni di business coaching e training) in un libro dal titolo suggestivo, The Possible Company, pubblicato l'anno scorso da Fausto Lupetti Editore, che prova a spiegare “come fare impresa seguendo gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile”.
Partendo dall'idea che «un imprenditore che si rispetti non si limita a fare impresa con il mero scopo di generare della ricchezza per se stesso, ma è mosso dal desiderio di contribuire allo sviluppo della propria realtà». Una realtà che comprende dipendenti, collaboratori, clienti, stakeholder, ma anche la comunità locale di riferimento, oltre alla comunità-Paese.
Bisogna abituarsi all'idea che «siamo tutti interconnessi in una grande rete che è il mondo: ogni persona, ogni realtà interagisce più o meno inconsapevolmente con molte altre». Ogni nostra azione si riverbera nella vita degli altri. E le azioni degli altri hanno degli effetti sul nostro lavoro. Se il sistema funziona anche la nostra azienda prospera.
«Smettiamola di vedere il mondo e il nostro business a compartimenti stagni, smettiamo di affidarci a un linguaggio (e a un pensiero) guerrafondaio: non siamo circondati solo da nemici che non vedono l'ora di vederci affondare, ma anche e soprattutto da potenziali partner con i quali instaurare relazioni e collaborazioni in ottica win-win».
La premessa sta nei Sustainable Development Goals, stabiliti nel 2015 da centocinquanta leader mondiali, legati ai Millenium Development Goals del 2000, eredi a loro volta di Rio 1992, +10 e +20, di Habitat 1, 2 e 3. Tutte realtà che a volte lasciano perplessi i non addetti ai lavori, che sembrano esprimere solo petizioni di principio, ma che in realtà propongono anche azioni molto concrete.
Non tutti sanno, ad esempio, che tra gli Obiettivi di sviluppo del millennio c'era anche la riduzione del 50% della popolazione che vive in estrema povertà (con 1,25 dollari al giorno). Un traguardo raggiunto e superato nel 2015, quando si è passati da 36% al 12% della popolazione mondiale. Molto più difficile sarà raggiungere l'obiettivo stabilito nel 2015, quello di azzerare la povertà entro il 2030.
Qualcuno potrebbe dire: cosa c'entriamo noi con la lotta alla povertà e alla fame, il contrasto al cambiamento climatico, la riduzione delle disuguaglianze? Un'obiezione che si riassume nella domanda tipica: “Tanto cosa vuoi che cambi?”.
In realtà possiamo fare moltissimo, sia come cittadini che come imprenditori. Anzi, diciamo che gli imprenditori più illuminati (e di successo) «da oltre trent'anni considerano le implicazioni di natura etica all'interno della loro visione strategica». Non hanno dovuto aspettare che si diffondessero concetti come “sostenibilità” o “responsabilità sociale d'impresa”.
Un'urgenza che riguarda anche la piccola e media impresa, visto che cresce costantemente il numero di aziende consapevoli dei cambiamenti in atto. «Una valanga che sta per travolgere il mondo del business, cambiandolo positivamente». Arriverà il giorno in cui chi sarà privo di questa sensibilità verrà buttato fuori dal mercato.
Brusemini e Poggianella raccontano i 17 macro-obiettivi stabiliti dall'Onu nel 2015, con dati, analisi e interviste di esperti, che danno concretezza alla questione della crescita sostenibile, appoggiandosi alle “cinque P”: pianeta, persone, prosperità, partenariato, pace. E in ogni capitolo suggeriscono agli imprenditori alcune azioni concrete da attuare.
Bisogna abituarsi a ragionare in termini di “noi” e di “tutti”, dando il nostro contributo nel creare nuove abitudini collettive di comportamento. Si parla di ricerca e sviluppo tecnologico, ma anche di pratiche aziendali, welfare, diritto alla salute.
Una società più giusta parte dal basso, ad esempio dal fatto che i lavoratori di un'azienda ricevano un giusto compenso e abbiano la possibilità di valorizzare i propri talenti e competenze, avendo anche accesso a un sistema di formazione costante (se crescono i lavoratori, cresce l'azienda).
Inutile parlare di “uguaglianza di genere”, se i criteri di passaggio di carriera non sono trasparenti, se non concediamo la giusta flessibilità, se non rispettiamo le differenze: «La domanda chiave che noi imprenditori dovremmo porci in continuazione è: “Che impatto ha questa decisione sulle donne e sugli uomini della mia azienda?” Donne e uomini, sì, perché non c'è nulla di più discriminante che trattare tutti nello stesso modo. Sembra un ossimoro, ma in realtà è proprio così: le persone devono essere trattate in modo diverso proprio perché sono diverse. La diversità è una cosa meravigliosa... quando non c'è disuguaglianza».
Parlando di scelte concrete, la sostenibilità comincia anche da pratiche apparentemente banali. Perché stampare un documento che possiamo leggere su pc? Perché non inserire delle piante in ufficio, sapendo quanto sono importanti per il benessere mentale, oltre che per ridurre gli effetti nocivi di smog, formaldeide, benzene? L'ideale sarebbe anche far calcolare l'impronta carbonica dell'azienda, prevedendo delle forme di compensazione per l'ambiente.
Fondamentale è poi diffondere uno stile di vita sano tra i dipendenti. Prestando particolare attenzione alle loro eventuali difficoltà. «Ogni nostra azione ha un impatto sugli altri, prima di tutto tra le persone che ci circondano». Ma ha un impatto anche sulla comunità in cui viviamo. «La compresenza di interessi tra le parti è fondamentale: una soluzione che possa dirsi sostenibile dev'essere sempre win-win. Entrambe le parti in gioco devono vincere: il datore di lavoro e il lavoratore, chi produce e chi consuma, chi rimette in circolo le materie che utilizza e la comunità che ne beneficia, ecc.»
Fa parte di questo processo anche la trasparenza, il rifiuto di qualsiasi forma di corruzione. Anche perché «un'azienda virtuosa, nel medio e lungo periodo, attrae come magneti le persone virtuose».
I target delle Nazioni Unite possono aiutarci a trasformare profondamente la nostra azienda, «portandola al successo. Un'azienda che riesce a conquistare il suo pubblico e il suo mercato porta benessere e prosperità nella realtà in cui si trova a operare».
Etica e business non sono due realtà contrapposte, anzi. «Generare profitto rimane una priorità, ma quello che cambia è come lo si fa».
Copyright © Uni Solutions - P.IVA 13432990961 | All rights reserved