Le aziende che hanno un cuore (e una coscienza) funzionano meglio.
Lo spiegano Alice Alessandri e Alberto Aleo, che sul tema hanno scritto vari libri, tra cui "Business in Love".
Lo dicono i numeri e le esperienze di successo.
Fare bene e fare del bene attraverso il business. Migliorare i risultati della propria azienda, ma generando valore per tutti. Anche per i propri competitor. Possibile?
Sembra quasi una contraddizione di termini. Siamo abituati a ragionare sul mercato come fosse una giungla in cui sopravvive il più forte, dove bisogna pensare solamente a se stessi, a come battere l'avversario. Il mondo là fuori? Esiste solo come luogo di opportunità, affari, potenziali clienti da convincere in ogni modo.
Eppure tutti sappiamo che la nostra azienda funziona se “il sistema” funziona. Che le persone hanno desideri, aspettative, e che il nostro successo dipende dalla capacità di risolvere i loro problemi e soddisfare le loro esigenze. Che la “felicità autentica” (espressione impegnativa) dipende dalla realizzazione di noi stessi, ma anche dal contributo che diamo a quella degli altri.
Possiamo associare le parole Love e Business? Secondo Alice Alessandri e Alberto Aleo (nella foto) consulenti aziendali ed esperti di business ethics, assolutamente sì. Sul tema, anni fa, hanno scritto anche un libro utile e bello, Business in Love, pubblicato da FrancoAngeli. Così come hanno scritto un manuale dedicato a La vendita etica e il Diario di un consulente, per chi cerca “etica, felicità e successo nel business”. Un lavoro portato avanti attraverso l'associazione professionale Passodue.
Perché la questione non è scegliere tra denaro e valori. Tra una carriera sfrenata e un'esistenza etica e ascetica. Siamo tutti vittime di una visione moralistica sbagliata che ha diviso il mondo in due: quelli che privilegiano il successo (business) e quelli che si concentrano sugli ideali e i sentimenti (love).
In realtà sempre più esperti ed economisti sottolineano quanto sia molto più solido e duraturo il successo di quelle realtà economiche che non guardano solo alla libera competizione e all'interesse individuale, ma anche alla funzione sociale dell'impresa e a uno stile negli affari che privilegi l'autenticità, i valori, l'identità del brand.
Per dirla in termini filosofici, e di storia del pensiero economico, non solo Hobbes e Adam Smith, ma anche Aristotele (il “bene della polis”), Genovesi, Cattaneo, Einaudi. L'economia al servizio di un mondo migliore. Perché se il mondo migliora - se le ingiustizie diminuiscono, se i cittadini stanno meglio, se il sistema diventa più efficiente – migliorano anche gli affari.
Alice Alessandri e Alberto Aleo citano la riflessione classica sulla Business Ethics, che risale agli anni Settanta, e fanno riferimento a Mary Gentile e al suo celebre Giving Voice to Values. Ma vanno anche oltre, tirando in ballo l'amore, con buona pace degli opposti estremismi del “business is business” (sottinteso: il bene comune non è affar nostro) e dell'anti-economicismo un po' hippy di chi pensa che il mondo degli affari sia il male.
Si tratta di uscire dal modello del dare per avere, entrando invece nella dinamica dell'essere-offrire-ricevere. Che parte dal modo in cui viene organizzata un'azienda, perché «se ogni parte dell'organizzazione agisce in accordo con le altre, si ottiene un effetto di risonanza potentissimo», che amplifica il valore del prodotto e del servizio offerto, oltre che del brand. E quella risonanza agisce poi secondo la legge dell'attrazione, portando clienti in linea con i valori dell'azienda. Come diceva Wayne Dyer: «Non attiri ciò che vuoi, attiri ciò che sei».
“Praticare l'amore” migliora la perfomance, spiegano gli autori, portando esempi concreti, frutto del loro lavoro di consulenza. Un “praticare l'amore” che, ovviamente, non ha niente a che vedere con atteggiamenti vagamente buonisti, ma implica un certo modo di agire, organizzare l'azienda, comunicare il brand, interagire con il cliente e con i competitor (il rispetto per gli altri, innanzitutto), ragionare non solo sui risultati immediati ma sugli effetti che le nostre azioni possono avere sull'ambiente e la società in cui viviamo.
Tutto questo genera valore. Non solo in termini di reputazione del brand – sì, c'è anche quella – ma anche per il circolo virtuoso che si innesca, in termini di qualità delle relazioni e risultati ottenuti nel corso del tempo.
Si parte dalla domanda sul “chi siamo?”. L'identità del brand, il suo carattere. Perché se si stabilisce una connessione emotiva con il cliente, è più facile che si rivolga a noi e rimanga fedele all'azienda. Jeff Bezos una volta ha detto: «Il tuo marchio è ciò che gli altri dicono di te quando non sei nella stanza». L'identità va oltre la pubblicità e la comunicazione, riguarda la qualità del prodotto e del servizio, la relazione instaurata con il cliente, la “personalità” dell'azienda. Le emozioni, anche. Perché i clienti sono esseri umani, che non prendono decisioni freddamente razionali.
Chi sei veramente? In cosa credi? Ecco cosa va comunicato, lungo tutta la filiera, in ogni dettaglio del lavoro aziendale. A cui va aggiunta un'altra domanda: perché lo fai? E qui siamo alla mission, che deve essere nutrita dall'aspirazione e la passione (l'amore, appunto), altrimenti è difficile trovare l'energia e l'entusiasmo necessari a dare sempre il massimo, anche nelle difficoltà.
Il “successo sostenibile” - dal punto di vista ambientale, sociale ed economico – non è una questione di buonismo ma di “visione olistica”. Prendersi cura delle persone che lavorano in azienda e occuparsi, in qualche modo, della comunità in cui è inserita, genera un effetto positivo che finirà per riverberarsi sull'azienda stessa.
Bisogna uscire dalla logica della ricchezza buona o cattiva. Il denaro è solo uno strumento, tutto dipende dall'uso che ne facciamo. La cosa importante è evitare la sudditanza generata dagli opposti atteggiamenti dell'accumulazione e del rifiuto. I ricavi dell'azienda possono diventare un'ossessione, oppure possono essere un veicolo per produrre effetti a lunga scadenza nella vita di manager, lavoratori, clienti e cittadini che fanno parte della stessa comunità (locale e globale).
Alice Alessandri e Alberto Aleo non ne fanno una questione di teoria, ma di pratica. Nei loro libri ci sono esercizi, proposte, strumenti di analisi. Ci sono lo Swot e la Piramide dei livelli logici (Pnl), la Legge di Pareto e la Piramide di Maslow, strategie di marketing e comunicazione attraverso i “touch point”.
Bisogna imparare a ragionare sulle motivazioni d'acquisto, che partono da spinte profonde, di cui occorre essere consapevoli. Pensare ai clienti solo in termini di target, ci fa dimenticare che si tratta di persone, dotate di un cuore, cioè di motivazioni profonde, valori, aspirazioni.
Infine, un'azienda evoluta sa che il competitor non è un nemico, ma un rivale con cui confrontarsi in modo trasparente. L'origine della parola concorrenza ci rimanda al “correre verso una meta comune”. Starà poi al cliente scegliere ciò che porta maggior valore alla sua vita. La competizione sta qui, sulla qualità, non solo sul prezzo.
Più amore, più affari, più felicità per tutti. Sembra un'utopia. Sembra.
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