Intervista ai Ceo

Intervista ai Ceo

Due storie diverse, unite dalla stessa voglia di mettersi in gioco, inseguendo la "vendita perfetta".

La gavetta, il talento scoperto quasi per caso, i successi, le scelte innovative.


Ferdinando Bova

La “vendita perfetta”. Il servizio capace di rendersi indispensabile a chiunque sia alla ricerca di nuovi clienti. L'obiettivo di una vita di lavoro che diventa realtà, grazie alle possibilità offerte dall'intelligenza artificiale. 

Ferdinando Bova ci è arrivato a 46 anni, dopo una carriera dedicata al marketing, in un percorso partito dall'immancabile gavetta del porta a porta, nobilitato dai record accumulati dai suoi team di vendita (che parlano di lui come una specie di “guru”), e approdato infine all'imprenditoria tech. 

Il traguardo si chiama UniSolutions, e una suite che, probabilmente, nel giro di una decina d'anni – questa la previsione – sarà presente in tutte le aziende, come il telefono, la luce elettrica e l'accesso a internet. 


Ne è passato di tempo da quando vendevi contratti telefonici.

Ricordo benissimo quegli anni.

 

Tutto è cominciato da un annuncio su un giornale letto ai tempi della Maturità. Non sapevi di essere un venditore. Anche se eri figlio di un venditore.

Mio padre aveva un negozio di bomboniere. Ma io ero molto più affascinato dai suoi vicini, che vendevano case: gli agenti immobiliari erano sempre fuori dal negozio, ben vestiti, sorridenti, con la sigaretta in mano. La vendita vera e propria l'ho scoperta alle fiere di settore, dove riuscivo a vendere più contratti di mio padre e mio zio.

 

Eri un estroverso chiacchierone?

Neanche tanto, in realtà. Facevo il rappresentante di classe, ma solo perché me lo chiedevano i compagni: mi piaceva battagliare per questo o quello. Però non lo vedevo come un “segno del destino”, non me ne rendevo conto. Nemmeno quando giocavo a calcio, anche se ero bravino. Con la testa di oggi, forse, avrei fatto più strada in quel mondo.

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    A 19 anni ti sei ritrovato a vendere centinaia di contratti telefonici.

    Lo facevo per evadere dalla scuola, che non vedevo l'ora di finire. Non mi piaceva l'idea di stare fermo lì, per ore e ore, in classe. Quel modo di imparare. Io sono andato avanti ascoltando e assimilando. Ho cominciato a lavorare nei giorni in cui avrei dovuto studiare per l'esame. Ma mi hanno promosso lo stesso, grazie al tema, che per fortuna andò benissimo.


    Facevi un porta a porta alla vecchia maniera. 

    7.30 in ufficio, breve riunione motivazionale, poi scarrozzati in macchina fino in paese, dove facevamo il giro dei negozi. Erano tempi in cui il venditore era visto come un rompiscatole. Infatti le aziende fingevano di cercare magazzinieri, poi quando ti presentavi (vestito da magazziniere) ti portavano a vendere contratti: prendere o lasciare.


    Quando ti hanno affidato la prima squadra?

    Quasi subito, a 19 anni.


    Al digitale, invece, quando ci sei arrivato?

    Dopo il militare (anche lì ho fatto l'istruttore e poi sono diventato sergente, una bellissima esperienza). Quando sono tornato, mi ha chiamato Halley Informatica, che faceva i software per i comuni. In effetti io avevo una formazione in informatica e telecomunicazioni. Ma quel tipo di vendita era troppo lento per i miei gusti.


    A quel punto sei passato da un'azienda all'altra, formando le squadre vendita.

    Ho fatto un passaggio in LG, un paio d'anni, e in Samsung – per me era come essere al “calciomercato”, ti acquistavano offrendoti più soldi e una macchina più bella – ma intanto era cominciata l'era del mobile e del marketing digitale. Sono entrato in una Spa del settore, in cui aiutavo i dealer, ma mi piaceva andare con loro a vendere. Era una cosa molto apprezzata.


    Una vita passata a spiegare che il venditore non deve “vendere”.

    Ho cominciato a maturare una mia idea di marketing. Mi piaceva gestire i venditori con le mie logiche, anche perché io guadagnavo se loro guadagnavano. Una trattativa più efficace era utile a tutti. Ho cominciato a lavorare con le mie teorie anche in aziende molto strutturate, e sono andato avanti così per anni, fino a quando non ho più sentito la necessità di avere qualcuno che mi dicesse cosa fare. Le mie tradizionali “riunioni del lunedì” le facevo già allora, anche se fuori dalle aziende per cui lavoravo, magari a pranzo, con due o tre persone. Da quel momento ho cominciato a fare l'imprenditore.


    Al centro del tuo lavoro, nell'ultimo decennio, c'è stata la ricerca di strumenti di marketing in grado di fare la differenza sia per chi vende che per chi compra.

    La mia idea è sempre stata questa. UniSolutions è la chiusura del cerchio: fare qualcosa che si sposi alla perfezione con il mio modo di lavorare. Ho sempre pensato che esistesse una “trattativa perfetta”. Quella che ti fa sentire forte, sicuro, col prezzo giusto, praticamente senza competitor... Qualcosa a cui tutti sono portati a dire di sì, perché tocca punti di interesse comune a tutti gli imprenditori, a prescindere dalla categoria. 


    Bisognava “solo” inventare il servizio adeguato, quel software che avete chiamato Uni.

    Ho sempre cercato di dare al cliente qualcosa che fosse sempre più simile a ciò che gli stavo raccontando. La ricerca della perfezione del servizio o del prodotto nasceva dall'esigenza di mantenere fede a quel tipo di trattativa. Qualcosa che, appena lo proponi, dopo tre parole, ti dicono: “Mi interessa”. Efficace per te, che lo hai creato, per lui, che lo utilizza, e per i suoi clienti, che lo stavano cercando senza saperlo... Ci sono stati cinque-sei anni di rodaggio. Oggi finalmente ci siamo arrivati. Chiamiamola pure quadratura del cerchio. 


    Grazie all'unione tra la parte marketing e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie.

    Serviva un lavoro misurabile in maniera oggettiva e scientifica, con un telefono che squilla quando il cliente ti cerca, grazie al lavoro fatto dal software.


    Quanto è stato importante l'incontro con Sara Grava?

    L'intuizione della “vendita perfetta” è nata dieci anni fa. L'idea che sta alla base di Uni, la tenevo nel cassetto da cinque anni almeno. Ma tutto è diventato realtà grazie all'incontro con Sara. Ci siamo trovati al momento giusto, quando avevamo entrambi voglia di cambiare e sperimentare. Lei è stata fondamentale per la parte hardware, oltre che per gli aspetti gestionali e finanziari dell'azienda. Perché finito il sogno, poi inizia la realtà. E allora bisogna costruire una struttura in grado di crescere nel tempo, di affrontare i problemi, e di far crescere chi lavora con noi. Sara, con le sue capacità e conoscenze, il suo background così diverso dal mio, è stata importantissima. Così come il gruppo che mi segue da dieci anni e che mi rende forte. 


    Quindi la scelta di lavorare con l'intelligenza artificiale risale a cinque anni fa?

    Sì, quando ancora non ne parlava quasi nessuno. Ho provato a far quotare il progetto, ma è venuta fuori una cifra folle. Eravamo lontani dagli sviluppi odierni. L'idea era creare un software capace di apprendere, interagendo con il cliente. Qualcosa che fosse in grado di crescere con l'azienda, evolvendosi con le sue esigenze. 


    Proprio quello che fa Uni.

    Esattamente. Con la differenza che oggi non servono investimenti milionari. Quando ne ho parlato ai tecnici e agli sviluppatori – professionisti particolarmente dotati che conoscevo da tempo – mi hanno guardato come per dire: “bellissima idea, chapeau”. Perché in realtà era una possibilità praticamente pronta, solo che nessuno ci aveva ancora pensato. Devo dire che quello è stato uno dei giorni più belli della mia vita.... Ma si tratta di un work in progress, un software su cui bisogna continuare a lavorare, che continuiamo a sviluppare mentre lo utilizziamo. Noi investiamo il 30% del fatturato in ricerca e sviluppo.


    Poi c'è la questione culturale. Bisogna fare i conti con l'idea, molto diffusa, per cui l'intelligenza artificiale sia un “nemico” dell'uomo.

    Questa è una delle nostre mission. D'altra parte quindici anni fa dovevo spiegare ad alcuni clienti che cos'era Google, e cosa significava stare sui motori di ricerca. Ma oggi la situazione è diversa. Il mercato è più pronto, ci sarà un cambio culturale molto più veloce. C'è una maggioranza di imprenditori perfettamente in grado di capire che questo strumento li aiuterà a fare meglio il loro lavoro. 


    Obiettivi? Sogni? 

    Io penso che la nostra suite di lavoro dovrebbe diventare come l'abbonamento telefonico, la luce elettrica, il citofono in azienda. Quelle cose che ci devono essere in qualsiasi ufficio, che sia piccolo o grande. Un citofono per aprire ce l'hanno tutti. Non so che storia avrà questa azienda,  o meglio, so che andrà avanti per tanti anni, con la sua attenzione al sociale, alla qualità del lavoro, all'ambiente, all'innovazione. Ma, in ogni caso, la nostra suite diventerà un servizio standard, come lo è l'abbonamento telefonico. Sono certo che nel giro di una decina d'anni ci sarà una suite in tutte le aziende. 



Sara Grava

L'informatica come destino. La scoperta della vocazione commerciale. L'avventura da imprenditrice, che l'ha portata fino in Africa, a vendere computer ricondizionati. La convinzione che alla base del lavoro ci debba essere la fiducia, la qualità delle relazioni umane.

Tutte premesse indispensabili per arrivare a UniSolutions, alla sua attitudine innovativa, non solo nel servizio offerto, ma anche nell'organizzazione aziendale, fondata sulla collaborazione, la creatività, l'informalità, oltre che sulle indispensabili competenze tecniche. A ognuno la sua libertà e responsabilità, che fa crescere le persone e le rende felici.

Sara Grava ha solo 44 anni, ma di strada ne ha fatta parecchia. 


Ci racconti i tuoi primi passi? All'inizio avevi scelto un'altra strada.

Ho fatto il liceo scientifico, quello sperimentale, per programmatori informatici. Ma dopo la maturità ho cominciato a lavorare come assicuratrice, nel “ramo vita”. Ero anche diventata capo-area. Poi però ho avuto alcuni problemi di salute e ho dovuto cercarmi un lavoro d'ufficio.

 

I casi della vita: la svolta è stata proprio quella.

Sì, perché ho risposto all'annuncio di un'azienda, la CFC Italia, partner di HP, che cercava una segretaria commerciale. Era un mercato che mi incuriosiva, completamente diverso dal solito: l'informatica usata.

 

Dopo quindici giorni hanno capito che non eri una segretaria...

Il mio capo mi chiese di fare un esperimento. Mi portò a MediaWorld e mi chiese di parlare con il direttore commerciale. Avevo vent'anni, ero ancora un bambina. Arriviamo lì e mi dice: “Spiegagli!”. Io non ero assolutamente preparata, ma gli spiegai quello che avevo capito. Si trattava di un centro commerciale, che non poteva vendere l'usato, ma aveva un grosso problema con i rientri, un esubero enorme di magazzino: montagne di pc e televisori di cui non sapevano cosa fare.

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    Il tuo capo ti chiese anche di “fare il prezzo”. Era uno che non perdeva tempo.

    Mi disse di ragionare sulla cifra a cui potevamo rivendere quella merce, per fare un'offerta a MediaWorld. La feci e venne subito accettata. Si trattava di una marea di pallet, che a quel punto andavano rivenduti ai nostri clienti. Mi chiese: “In quanto tempo andrai a break even”? Quando risposi “30 giorni”, lui si mise a ridere, gli sembrava una cosa impossibile. In realtà ci misi 21 giorni. 


    Così hai scoperto di essere portata per il commercio. 

    Anche perché il proprietario dell'azienda mi dava fiducia. Diceva che non c'era bisogno di spiegarmi le cose, che “ce l'avevo dentro”. A 21-22 anni mi passava tutti i clienti più delicati, Banca Intesa, Poste, Deutsche Bank, Fondiaria Sai... L'azienda fatturava due milioni e mezzo. Dopo cinque anni è arrivata a otto e mezzo. 


    Ma la vita ha le sue vicissitudini. Dopo aver lavorato come direttore commerciale per un'azienda di Torino, sempre nell'informatica, è arrivata l'occasione di aprire la tua prima Srl.

    Merito di due clienti, che mi hanno incoraggiato e hanno anche investito dei soldi. Mi sono detta: se due estranei hanno così tanta fiducia in me, devo averla per forza anch'io... E così è nata la mia prima azienda. Anche grazie ai grossi clienti con cui lavoravo e che mi hanno seguita. Nel mercato ormai ero conosciuta. Lavoravo soprattutto con l'Africa, in cui avevo selezionato un paio di clienti affidabili in ogni paese: Egitto, Marocco, Nigeria... Si è creato un rapporto di fiducia.


    A quei tempi non ci si rendeva ancora conto dell'aspetto “green” di questo mercato. 

    Era solo business, in effetti. Compravi a poco e vendevi facendo un margine, senza grossi investimenti. Poi sul mercato dell'usato si sono buttati anche i grossi dealer. Soprattutto nel periodo del Covid.


    Hai venduto l'azienda e hai cominciato a immaginare nuova avventure.

    Quando hai quello spirito (imprenditoriale) hai sempre voglia di creare, di fare qualcosa di diverso, che ti dia soddisfazione, anche al di là dei risultati economici. Io ho continuato a fare consulenze, nel mio settore, ma non mi bastava.

     

    Da qui è nato l'incontro con Ferdinando Bova.

    Quando ci siamo conosciuti, abbiamo cominciato a fantasticare su una possibile collaborazione. Io avevo un certo tipo di bagaglio e lui un altro, ma ci siamo confrontati apertamente, senza “raccontarcela”, perché alla base di un'azienda ci deve essere soprattutto una grande fiducia reciproca. La cosa è diventata concreta quando lui ha deciso di lasciare la sua azienda e abbiamo cominciato a elaborare un progetto. Quando ne parlavamo, erano tutti affascinati. Vedere certi grandi professionisti così interessati, che dicevano “avremmo voluto farlo noi”, ci dava forza.


    E così sei passata dall'hardware al software e all'intelligenza artificiale.

    Anch'io vengo dall'informatica, sono programmatrice, e il “tecnichese” lo capisco. Si trattava di tradurlo in “commercialese”. La cosa positiva è che sia io che Ferdinando siamo in grado di evolvere velocemente, senza grossi problemi. Siamo veloci nell'adattarci alle circostanze e riusciamo a coinvolgere le persone intorno in modo positivo.


    I rapporti umani prima di tutto.

    Assolutamente. Sono una fautrice della fidelizzazione. La persona, che sia cliente, fornitore, dipendente, deve stare sempre al centro. Tutte le persone hanno una loro importanza e ti possono dare qualcosa in più.  Bisogna investire sulla fiducia, sul delegare, perché così i collaboratori si sentono responsabili e contribuiscono con idee, energie positive, confronti costruttivi. Certo, occorre anche saper riconoscere le persone che non sono adatte a lavorare con te: prima lo fai meglio è, per te e per loro. Ma la mia idea di lavoro sta nell'investire sui rapporti umani e approfondirli il più possibile. 


    Bello guidare un'azienda che scommette sull'innovazione tecnologica, sociale, ambientale. Aperta al contributo di tutti. L'entusiasmo di sicuro non manca.

    In questo io e Ferdinando siamo molto simili. Veniamo da esperienze e background completamente diversi, ma abbiamo dei punti chiave in comune e anche l'umiltà di saper ascoltare le idee degli altri. Ferdinando è una persona molto intelligente, oltre che un professionista preparato, ha ottime intuizioni e sa accettare quelle degli altri.


    La squadra è in crescita. 

    In UniSolutions i ruoli sono ben definiti, ma facciamo tutto insieme, coinvolgendo le varie professionalità. Abbiamo persone di un certo livello in ogni settore, amministrativo, tecnico, gestionale. Professionisti che si sono guadagnati la fiducia sul campo. Se qualcuno fa una proposta, la analizziamo seriamente, anche se non era in programma, e se scopriamo che è utile la sviluppiamo. Il mondo è bello perché vario e colorato, e siamo colorati anche noi. Mettendo insieme i vari colori, trovi l'arcobaleno e riesci a rispondere a tutte le esigenze.


    Qual è l'orizzonte verso cui vi muovete?

    Siamo un'azienda che crea software, in un mondo del lavoro pieno di sfaccettature. Uni è il nostro primo progetto, lo zoccolo duro. Quando camminerà con le sue gambe, ci dedicheremo ad altri progetti. A quel punto ci concentreremo sul cliente che vuole qualcosa di estremamente customizzato. Andremo verso la personalizzazione del servizio, per avere una cura sempre maggiore del cliente, che deve sentirsi coccolato, aiutato. Deve capire che il nostro scopo è rispondere alle sue esigenze, risolvere i suoi problemi. 


    Intanto la vostra prima suite ha qualcosa di rivoluzionario.

    Infatti in sei mesi abbiamo già rilasciato sette nuove release. Questo vuol dire che c'è un percorso. L'esperienza ci aiuta a imparare. Cosa succederà non è dato saperlo, ma di sicuro non siamo una meteora. Il nostro è un progetto scalabile, che può essere compartecipato: siamo dei precursori con un background che può tornare utile a tutti. 

    Siamo una realtà molto duttile, non abbiamo grandi vincoli, non siamo settoriali. Chiunque ha bisogno di vendere, di trovare nuovi clienti, di svilupparsi, prima o poi avrà bisogno della nostra suite. Come dice Ferdinando: abbiamo creato una cosa che si vende da sola, anche perché nessuno può dire “ce l'ho già”. Un prodotto tecnologico che consente di automatizzare un certo tipo di lavoro, lasciando quindi spazio alla creatività e alle relazioni. Noi ci occupiamo della parte più antipatica, lasciando alle aziende il lavoro più bello, la cura del cliente. 

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